Riprendiamo il filo del discorso
lasciato aperto in un post precedente (la parabola evolutiva della conoscenza).
Iniziamo a disegnare il paradigma
della “complessità” dalla prospettiva linguistico-semantica.
Nell’uso quotidiano della lingua, per
descrivere particolari concetti, utilizziamo sinonimi che, in quel particolare
contesto, tali non sono.
Accade
spesso!
Così succede anche per i termini
“complicato” e “complesso”. Si finisce per parlare di cose complesse quando
sono complicate o peggio si cominciamo a mischiare i metodi e gli approcci.
Un sistema è semplice o complicato
quando è possibile conoscere e comprendere tutte le componenti e le relazioni
intercorrenti; un sistema è complesso semplicemente quando tutto ciò non è ancora
possibile. In un sistema complicato possiamo esercitare il controllo con
ragionevole certezza, in un sistema complesso NO!
Elimino subito sul nascere un
possibile dualismo tra complesso e complicato. Essendo il modello di
osservazione costruito dall’uomo, quello che oggi ci appare un oggetto
complesso domani potrebbe non esserlo più. Il linguaggio fisico-matematico, di
oggi, ci permette di descrivere fenomeni dei quali, una volta, parlare sarebbe
stato impossibile.
Allo stesso tempo per sistemi così
complessi come l’uomo o anche piccoli gruppi di persone, è inconcepibile, al
momento, una matematica ed una logica capace di descriverli completamente.
Tutto questo vuol dire che il livello
di complessità è una qualità dell’osservatore piuttosto che dell’osservato.
Pertanto esiste un continuum dentro e tra sistemi complicati e complessi.
Una interessante prospettiva, per
comprendere la differenza tra complicato e complesso, ci è fornita dall’analisi
etimologica dei due termini: complicato deriva dal latino cum plicum, dove plicum
indica la piega di un foglio, mentre complesso deriva cum plexum, dove plexum indica il nodo.
Questo ci introduce all’analisi della
differenza che esiste nel trattare problemi complessi o complicati.
Di fronte ad un problema “complicato” la soluzione va trovata con un approccio
analitico che trovi tra le “pieghe” ed i “fogli” la soluzione. Mentre la soluzione ad un problema
“complesso” è nell’intricato intreccio generato dai “nodi” ovvero le relazioni
intercorrenti tra gli elementi.
La differenza concettuale tra
complicato e complesso sta proprio in questo: tra le pagine e pieghe di un
libro, per quanto arduo e faticoso, si può sempre trovare il filo logico che
tiene il tutto; mentre nei problemi, nelle strutture e nei sistemi a rete il tutto esprime proprietà e significati
diversi da quelli dei fili che lo compongono.
Prendiamo a prestito l’esempio del
tessuto: se ne scomponiamo l’ordito nei suoi “fili o componenti elementari,
perveniamo ad un gruppo di fili che comunque analizzati nella loro somma non
consentono più di rappresentare il sistema originale, cioè il tessuto”( De Toni
A.F., Comello L., Prede e ragni, 2005, pag. 14).
Rispetto ai nostri antenati del
Neolitico il patrimonio genetico è rimasto praticamente inalterato, ma molto è
cambiato tutto attorno. “Siamo di solito
troppo occupati nella celebrazione dell’intelligenza della nostra specie e di
quali meraviglie essa ha prodotto per focalizzare l’attenzione sulle
limitazioni della nostra mente”(Giancotti F., Shaharabani Y., The relevant
warriors, Leadership and Agility in Complex Enviroments, The Industrial College
of Armed Forces, National Defence University, Fort McNair, Washington D.C., AY
2005-2006). Così non ci accorgiamo che il metodo che ci ha consegnato la
grandezza tra gli esseri viventi non è, da solo, più adeguato. Ancora oggi,
indipendentemente dalla situazione in cui ci troviamo, usiamo dividere il
problema nelle sue parti elementari (approccio top down) per poi analizzarne e ricostruirne le relazioni,
arrivando al sistema originale (approccio bottom
up).
In questo processo cerchiamo di capire
quali siano i punti dove intervenire e come intervenire, al fine di influenzarne
il comportamento secondo le nostre aspettative. L’evoluzione della nostra specie non ha preparato la mente per i
sistemi e gli ambienti complessi. L’approccio riduzionista, analitico
non va più bene; a meno che si voglia rinunciare ad una parte/aspetto del
problema definendo solo una soluzione parziale. “Bisogna rinunciare a capire
... il fenomeno nelle sue pieghe o fili e concentrarsi nella comprensione
dell’intero sistema, considerato nel suo insieme”. Nelle organizzazioni i
problemi complicati vanno affrontati e risolti secondo un approccio analitico,
mentre quelli complessi secondo un approccio network oriented; entrambi gli approcci devono coesistere nella
struttura, nelle procedure e nella filosofia manageriale (Giancotti F., op.
cit.).
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