sabato 20 aprile 2013

Euro. Quattro opzioni possibili ?



Quattro opzioni possibili ?

Più passa il tempo più la crisi si avvita su se stessa.
Forse è un bene!
Possibile!
Lo sarebbe sicuramete senza la carneficina sociale a cui assistiamo.
L’alternativa sarebbe una più lenta ed impercettibile agonia camuffata da riforme strutturali “necessarie”!
Necessarie a chi?
Come insegna bene il Prof. Bagnai non andremmo comunque da nessuna parte.
È altamente improbabile che l’Europa possa resistere per lungo tempo, rimanendo a metà strada, come lo è ora.
A questo punto, come in parte confermerebbe anche lo studio della Fondazione tedesca Friedrich-Ebert, si prefigurano quattro scenari possibili.
Primo scenario: realizzazione dei prerequisiti per essere una AVO.
L’accelerazione dell’integrazione europea senza la realizzazione di tutti i requisiti per essere una AVO, non può funzionare.
Su questi, irrinunciabili contenuti, il dibattito politico è lontano anni luce da trovare punti di convergenza.
Comunque in questo momento, vista la gravità della crisi, il fattore tempo è cruciale e non si possono realizzare riforme strutturali che presupporrebbero decenni (pure qualche cosa di più!!!!). Pertanto questo scenario, “scolastico”, è di fatto il meno probabile.
Si noti bene che il più Europa fiscale e politica, di cui si parla tanto oggi, non centra nulla con i prerequisiti per essere una AVO (vds goofynomics). Pertanto le riforme di cui parla la Germania, camuffata da Bruxelles, sono un’altra cosa. In quel caso saremmo nel secondo scenario.
Secondo scenario: prosecuzione dell'inazione politica.
Inazione politica uguale prosecuzione delle attuali politiche di austerità.
Queste politiche, dettate dal “karma” del controllo del deficit, sarebbero mitigate da pacchetti di aiuto condizionati alla preventiva realizzazione delle cosiddette “riforme strutturali”.  Ovvero quella del mercato del lavoro (con maggiore flessibilità in uscita) e drastico dimagrimento della struttura pubblica.
Questa soluzione, associata alla delega di sovranità fiscale e politica, porterebbe nella periferia ad un aumento vertiginoso della disoccupazione, con conseguente generale e progressivo impoverimento.
All'interno del continente europeo potrebbero emergere forti flussi migratori dalla periferia (Italia e Spagna in testa) verso il centro (Germania in testa). Fenomeno che si inizia ad intravedere!
Anche questa situazione mi pare difficilmente sostenibile dai Paesi del sud, perché le tensioni, già in "incubazione", finirebbero per esplodere ed evolvere in modo incontrollato.
Terzo scenario: creazione di una Europa a due velocità
I paesi del centro, quelli che fino ad ora hanno resistito meglio alla crisi, inizierebbero a porre a livello politico il problema di creare una Europa a due velocità.
Germania e paesi satelliti si integrerebbero ulteriormente, ma senza lasciare l’UEM.
Emergerebbe, nei fatti, una ancor più evidente spaccatura Nord-Sud, con  un nucleo di paesi ricchi (Nord), pronti a portare a termine sia l'unione fiscale che quella politica e una periferia (Sud) con sempre meno prospettive di ripresa economica, perché legata al vincolo monetario.
In questo scenario, le differenze, in termini di benessere, fra centro e periferia diventerebbero fonte costante di tensione politica.
Agli occhi della periferia, la situazione potrebbe apparire non-democratica, poiché le decisioni fondamentali verrebbero prese solo dal “centro”, pur impattando sull'intera UE. Gli stati della periferia sarebbero di fatto dominati da un “centro” a egemonia tedesca.
La crisi politica dei paesi della periferia si aggraverebbe ricadendo nel quarto scenario.
Quarto scenario: la disintegrazione dell'Eurozona e della UE.
Se la crisi della Politica dovesse aggravarsi con una contemporanea, permanente, situazione di stallo decisionale ed economico, potrebbe essere inevitabile fare i conti con la dissoluzione totale della Eurozona.
Intorno alla Germania, resisterebbe un blocco di paesi centrali, mantenendo la moneta comune, mentre i paesi in crisi del sud tornerebbero a valute nazionali (vale anche il contrario ovvero uscita della Germania dall'Euro).
Se non è troppo tardi, questo porterebbe l’orologio della unificazione al 1992. Dando l’opportunità al continente di ricucire gli strappi e ripartire lungo la strada dell’integrazione dei popoli nel rispetto della loro diversità.
Se il ritorno alle monete nazionali arriva troppo tardi, la coesione dell'UE sarebbe progressivamente erosa da rivendicazioni protezionistiche che metterebbero in discussione il commercio estero. Le ostilità fra le regioni europee, fra nord e sud, potrebbero subire una forte escalation, riprendendo i vecchi stereotipi nazionali. In questo scenario la disintegrazione dell'EU sarebbe inevitabile.
Come sottolinea uno studio della Fondazione tedesca Friedrich-Ebert, la disintegrazione potrebbe avvenire secondo il modello Sovietico oppure quello Jugoslavo; ovvero uno scioglimento pacifico, o alternativamente una guerra. 
In questo contesto, lo studio ipotizza una sorta di “sindrome da Mezzogiorno”: cioè le zone più ricche, di alcuni Paesi periferici, potrebbero sganciarsi (Catalogna e Nord Italia).
Se ciò si verificasse, Berlino avrebbe massimizzato il ritorno economico e politico del collasso dell'UE.

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