lunedì 22 aprile 2013

Pietà per la Nazione - di Pier Paolo Pasolini


Pieta’ per la nazione i cui uomini sono pecore

e i cui pastori sono guide cattive
Pieta’ per la nazione i cui leader sono bugiardi
i cui saggi sono messi a tacere
Pieta’ per la nazione che non alza la propria voce
tranne che per lodare i conquistatori
e acclamare i prepotenti come eroi
e che aspira a comandare il mondo
con la forza e la tortura
Pieta’ per la nazione che non conosce
nessun'altra lingua se non la propria
nessun' altra cultura se non la propria
Pieta’ per la nazione il cui fiato e’ danaro
e che dorme il sonno di quelli
con la pancia troppo piena
Pieta’ per la nazione – oh, pieta’ per gli uomini
che permettono che i propri diritti vengano erosi
e le proprie libertà spazzate via
Patria mia, lacrime di te
dolce terra di liberta’!
Pier Paolo Pasolini


sabato 20 aprile 2013

Euro. Quattro opzioni possibili ?



Quattro opzioni possibili ?

Più passa il tempo più la crisi si avvita su se stessa.
Forse è un bene!
Possibile!
Lo sarebbe sicuramete senza la carneficina sociale a cui assistiamo.
L’alternativa sarebbe una più lenta ed impercettibile agonia camuffata da riforme strutturali “necessarie”!
Necessarie a chi?
Come insegna bene il Prof. Bagnai non andremmo comunque da nessuna parte.
È altamente improbabile che l’Europa possa resistere per lungo tempo, rimanendo a metà strada, come lo è ora.
A questo punto, come in parte confermerebbe anche lo studio della Fondazione tedesca Friedrich-Ebert, si prefigurano quattro scenari possibili.
Primo scenario: realizzazione dei prerequisiti per essere una AVO.
L’accelerazione dell’integrazione europea senza la realizzazione di tutti i requisiti per essere una AVO, non può funzionare.
Su questi, irrinunciabili contenuti, il dibattito politico è lontano anni luce da trovare punti di convergenza.
Comunque in questo momento, vista la gravità della crisi, il fattore tempo è cruciale e non si possono realizzare riforme strutturali che presupporrebbero decenni (pure qualche cosa di più!!!!). Pertanto questo scenario, “scolastico”, è di fatto il meno probabile.
Si noti bene che il più Europa fiscale e politica, di cui si parla tanto oggi, non centra nulla con i prerequisiti per essere una AVO (vds goofynomics). Pertanto le riforme di cui parla la Germania, camuffata da Bruxelles, sono un’altra cosa. In quel caso saremmo nel secondo scenario.
Secondo scenario: prosecuzione dell'inazione politica.
Inazione politica uguale prosecuzione delle attuali politiche di austerità.
Queste politiche, dettate dal “karma” del controllo del deficit, sarebbero mitigate da pacchetti di aiuto condizionati alla preventiva realizzazione delle cosiddette “riforme strutturali”.  Ovvero quella del mercato del lavoro (con maggiore flessibilità in uscita) e drastico dimagrimento della struttura pubblica.
Questa soluzione, associata alla delega di sovranità fiscale e politica, porterebbe nella periferia ad un aumento vertiginoso della disoccupazione, con conseguente generale e progressivo impoverimento.
All'interno del continente europeo potrebbero emergere forti flussi migratori dalla periferia (Italia e Spagna in testa) verso il centro (Germania in testa). Fenomeno che si inizia ad intravedere!
Anche questa situazione mi pare difficilmente sostenibile dai Paesi del sud, perché le tensioni, già in "incubazione", finirebbero per esplodere ed evolvere in modo incontrollato.
Terzo scenario: creazione di una Europa a due velocità
I paesi del centro, quelli che fino ad ora hanno resistito meglio alla crisi, inizierebbero a porre a livello politico il problema di creare una Europa a due velocità.
Germania e paesi satelliti si integrerebbero ulteriormente, ma senza lasciare l’UEM.
Emergerebbe, nei fatti, una ancor più evidente spaccatura Nord-Sud, con  un nucleo di paesi ricchi (Nord), pronti a portare a termine sia l'unione fiscale che quella politica e una periferia (Sud) con sempre meno prospettive di ripresa economica, perché legata al vincolo monetario.
In questo scenario, le differenze, in termini di benessere, fra centro e periferia diventerebbero fonte costante di tensione politica.
Agli occhi della periferia, la situazione potrebbe apparire non-democratica, poiché le decisioni fondamentali verrebbero prese solo dal “centro”, pur impattando sull'intera UE. Gli stati della periferia sarebbero di fatto dominati da un “centro” a egemonia tedesca.
La crisi politica dei paesi della periferia si aggraverebbe ricadendo nel quarto scenario.
Quarto scenario: la disintegrazione dell'Eurozona e della UE.
Se la crisi della Politica dovesse aggravarsi con una contemporanea, permanente, situazione di stallo decisionale ed economico, potrebbe essere inevitabile fare i conti con la dissoluzione totale della Eurozona.
Intorno alla Germania, resisterebbe un blocco di paesi centrali, mantenendo la moneta comune, mentre i paesi in crisi del sud tornerebbero a valute nazionali (vale anche il contrario ovvero uscita della Germania dall'Euro).
Se non è troppo tardi, questo porterebbe l’orologio della unificazione al 1992. Dando l’opportunità al continente di ricucire gli strappi e ripartire lungo la strada dell’integrazione dei popoli nel rispetto della loro diversità.
Se il ritorno alle monete nazionali arriva troppo tardi, la coesione dell'UE sarebbe progressivamente erosa da rivendicazioni protezionistiche che metterebbero in discussione il commercio estero. Le ostilità fra le regioni europee, fra nord e sud, potrebbero subire una forte escalation, riprendendo i vecchi stereotipi nazionali. In questo scenario la disintegrazione dell'EU sarebbe inevitabile.
Come sottolinea uno studio della Fondazione tedesca Friedrich-Ebert, la disintegrazione potrebbe avvenire secondo il modello Sovietico oppure quello Jugoslavo; ovvero uno scioglimento pacifico, o alternativamente una guerra. 
In questo contesto, lo studio ipotizza una sorta di “sindrome da Mezzogiorno”: cioè le zone più ricche, di alcuni Paesi periferici, potrebbero sganciarsi (Catalogna e Nord Italia).
Se ciò si verificasse, Berlino avrebbe massimizzato il ritorno economico e politico del collasso dell'UE.

mercoledì 17 aprile 2013

SEMPLICE, COMPLICATO E COMPLESSO; PROBLEMA SEMANTICO E DI METODO





Riprendiamo il filo del discorso lasciato aperto in un post precedente (la parabola evolutiva della conoscenza).
Iniziamo a disegnare il paradigma della “complessità” dalla prospettiva linguistico-semantica.
Nell’uso quotidiano della lingua, per descrivere particolari concetti, utilizziamo sinonimi che, in quel particolare contesto, tali non sono.
Accade spesso!
Così succede anche per i termini “complicato” e “complesso”. Si finisce per parlare di cose complesse quando sono complicate o peggio si cominciamo a mischiare i metodi e gli approcci.
Un sistema è semplice o complicato quando è possibile conoscere e comprendere tutte le componenti e le relazioni intercorrenti; un sistema è complesso semplicemente quando tutto ciò non è ancora possibile. In un sistema complicato possiamo esercitare il controllo con ragionevole certezza, in un sistema complesso NO!
Elimino subito sul nascere un possibile dualismo tra complesso e complicato. Essendo il modello di osservazione costruito dall’uomo, quello che oggi ci appare un oggetto complesso domani potrebbe non esserlo più. Il linguaggio fisico-matematico, di oggi, ci permette di descrivere fenomeni dei quali, una volta, parlare sarebbe stato impossibile.
Allo stesso tempo per sistemi così complessi come l’uomo o anche piccoli gruppi di persone, è inconcepibile, al momento, una matematica ed una logica capace di descriverli completamente.
Tutto questo vuol dire che il livello di complessità è una qualità dell’osservatore piuttosto che dell’osservato. Pertanto esiste un continuum dentro e tra sistemi complicati e complessi.
Una interessante prospettiva, per comprendere la differenza tra complicato e complesso, ci è fornita dall’analisi etimologica dei due termini: complicato deriva dal latino cum plicum, dove plicum indica la piega di un foglio, mentre complesso deriva cum plexum, dove plexum indica il  nodo.
Questo ci introduce all’analisi della differenza che esiste nel trattare problemi complessi o complicati.
Di fronte ad un problema “complicato” la soluzione va trovata con un approccio analitico che trovi tra le “pieghe” ed i “fogli” la soluzione. Mentre la soluzione ad un problema “complesso” è nell’intricato intreccio generato dai “nodi” ovvero le relazioni intercorrenti tra gli elementi.
La differenza concettuale tra complicato e complesso sta proprio in questo: tra le pagine e pieghe di un libro, per quanto arduo e faticoso, si può sempre trovare il filo logico che tiene il tutto; mentre nei problemi, nelle strutture e nei sistemi a rete il tutto esprime proprietà e significati diversi da quelli dei fili che lo compongono.
Prendiamo a prestito l’esempio del tessuto: se ne scomponiamo l’ordito nei suoi “fili o componenti elementari, perveniamo ad un gruppo di fili che comunque analizzati nella loro somma non consentono più di rappresentare il sistema originale, cioè il tessuto”( De Toni A.F., Comello L., Prede e ragni, 2005, pag. 14).
Rispetto ai nostri antenati del Neolitico il patrimonio genetico è rimasto praticamente inalterato, ma molto è cambiato tutto attorno. “Siamo di solito troppo occupati nella celebrazione dell’intelligenza della nostra specie e di quali meraviglie essa ha prodotto per focalizzare l’attenzione sulle limitazioni della nostra mente”(Giancotti F., Shaharabani Y., The relevant warriors, Leadership and Agility in Complex Enviroments, The Industrial College of Armed Forces, National Defence University, Fort McNair, Washington D.C., AY 2005-2006). Così non ci accorgiamo che il metodo che ci ha consegnato la grandezza tra gli esseri viventi non è, da solo, più adeguato. Ancora oggi, indipendentemente dalla situazione in cui ci troviamo, usiamo dividere il problema nelle sue parti elementari (approccio top down) per poi analizzarne e ricostruirne le relazioni, arrivando al sistema originale (approccio bottom up).
In questo processo cerchiamo di capire quali siano i punti dove intervenire e come intervenire, al fine di influenzarne il comportamento secondo le nostre aspettative. L’evoluzione della nostra specie non ha preparato la mente per i sistemi e gli ambienti complessi. L’approccio riduzionista, analitico non va più bene; a meno che si voglia rinunciare ad una parte/aspetto del problema definendo solo una soluzione parziale. “Bisogna rinunciare a capire ... il fenomeno nelle sue pieghe o fili e concentrarsi nella comprensione dell’intero sistema, considerato nel suo insieme”. Nelle organizzazioni i problemi complicati vanno affrontati e risolti secondo un approccio analitico, mentre quelli complessi secondo un approccio network oriented; entrambi gli approcci devono coesistere nella struttura, nelle procedure e nella filosofia manageriale (Giancotti F., op. cit.).
 


mercoledì 3 aprile 2013

EUROPA - è l'ora dei messaggi subliminali


chi ha privilegio e potere per scrivere su un giornale a grande tiratura dovrebbe stare attento ai messaggi subliminali. così tanto per non fare terrorismo!!!! Oggi la prestigiosa coppia di economisti del Corriere (Alesina - Giavazzi) ne ha distribuito un po a gratis!!!

http://www.corriere.it/editoriali/13_aprile_03/alesina-giavazzi-a-corto-di-idee-senza-capitali_983f84f2-9c1c-11e2-aac9-bc82fb60f3c7.shtml

VEDIAMO INSIEME  




" I tempi della democrazia e della politica mal sopportano vincoli esterni, sia quelli che derivano dai nostri impegni europei (DI QUALI VINCOLI PARLANO???    QUALCUNO CE LI HA MAI SPIEGATI??    CI HANNO MAI CHIESTO COSA NE PENSAVAMO ???? ), sia quelli imposti da chi possiede i titoli del nostro debito pubblico (MA CHI GLI SPECULATORI ????   IN UN SISTEMA CAPITALISTICO IN CAPO AL CREDITORE STA L'ONERE DELLA VALUTAZIONE DEL DEBITORE O NO ??? ). L'apparente tranquillità dei mesi recenti può indurre nell'errore di farci sentire liberi di decidere (BENE! VEDO CHE ORA NON SIAMO PIU' LIBERI DI DECIDERE! AH SI! IL MESSAGGIO è: ANCHE SE I PRECEDENTI MESI SONO STATI TRANQUILLI, ORA NON VI ALLARGATE TROPPO. RICORDATEVI CHE NON AVETE PIU' SOVRANITA' ), di muoverci nella direzione in cui ci porta la navicella del fragile equilibrio politico. Non è così"  .
" .....La soluzione adottata per salvare le banche di Cipro potrebbe cambiare il modo in cui d'ora in avanti verranno affrontate le crisi bancarie nell'area euro (MESSAGGIO - ABBASSATE LA CODA VOI NON SIETE LIBERI. SE FATE INCAZZARE L'EUROPA - OVVERO LA GERMANIA -VI TOLGONO IL SOLDI DAL CONTO CORRENTE. QUINDI ESEGUITE GLI ORDINI E ZITTI),. Tre anni fa le banche irlandesi furono salvate facendo pagare un conto salatissimo ai contribuenti e proteggendo tutti i depositanti (grandi e piccoli) e chi ne aveva acquistato le obbligazioni. A Cipro invece lo Stato non interverrà: i 10 miliardi di euro che l'isola riceverà dall'Europa non potranno essere usati per salvare le banche. Le loro perdite verranno assorbite da chi vi aveva investito, acquistandone azioni, obbligazioni o aprendo un conto corrente. Verranno salvati solo i depositi di ammontare inferiore ai 100 mila euro (MESSAGGIO - GUARDATE CHE NON SCHERZANO! IN IRLANDA GLI HANNO SALVATI. A CIPRO HANNO SALVATO QUELLI SOTTO CENTOMILA EURO. IN ITALIA POTREBBE ANDARE PEGGIO...... UOMO AVVISATO MEZZO SALVATO).

"Questa decisione ha due conseguenze:
1) da oggi rafforzare il patrimonio delle banche (il tallone d'Achille del sistema finanziario europeo) è più difficile, perché chi ne acquista le azioni o le obbligazioni deve affrontare un rischio maggiore;
2) una parte dell'attività bancaria potrebbe emigrare verso i Paesi le cui banche sono più solide
.
(SCUSATE MA CHE CI HANNO FATTO CON I SOLDI DEI TREMONTI BOND E CON I SOLDI DELLA BCE ?????? PER CASO INVECE DI AIUTARE LE IMPRESE SI SONO MESSI A FARE CARRY TRADING ????? O PER CASO HANNO SPECULATO PURE LORO CON LO SPREAD ACQUISENDO TITOLI ITALIANI A TASSI CHE GLI HANNO PERMESSO DI RIPAGARE CAPITALE ED INTERESSE ALLA BCE ED INTASCARSI IL DIFFERENZIALE?????)

"Per noi sono tutte cattive notizie. Uno degli ostacoli alla crescita, nel breve termine forse il maggiore, è la scarsità di capitale di cui dispongono le banche. Il motivo principale per cui esse lesinano il credito è che hanno troppo poco capitale. Hanno molta liquidità, grazie ai finanziamenti della Bce, ma per fare un prestito e sostenere l'economia la liquidità non basta, serve anche il capitale, cioè la riserva che la banca deve mettere da parte per far fronte a prestiti non rimborsati. E oggi nella recessione ciò accade sempre più spesso. Le banche italiane tradizionalmente hanno sempre avuto relativamente poco capitale: uno dei motivi è che i loro padroni, le fondazioni bancarie, hanno risorse limitate, ma non vogliono perdere il controllo delle banche, quindi scoraggiano gli aumenti di capitale sul mercato (E CERTO!!! TANTO POI C'E' LO STATO PANTALONE CHE PAGA .... OVVERO NOI).
L'altra conseguenza della crisi di Cipro è che le parole oggi contano di più. Gli investitori saranno ora attentissimi a qualunque proposta di tassare i depositi bancari, o di ristrutturare il debito, come fece Mussolini nel 1926 (UN PO DI HORROR NON FA MAI MALE!!!), o di rinegoziare gli impegni presi con l'Europa (ECCO MAGARI, SAREBBE ORA), o addirittura di considerare un'uscita dall'euro (FOSS A' MARONN!!!). In questo momento così delicato, non solo le azioni ma anche le parole pesano (APPUNTO!), e nel mezzo di una crisi politica fra le più difficili del dopoguerra, di parole senza senso se ne ascoltano parecchie (ECCO BRAVI DOPO AVER SOSTENUTO PER ANNI CHE L'EURO CI AVREBBE SALVATO, FATE UNA BELLA COSA .... Statt citt e assit-t ... COME DICONO A BARI).