Samuel Huntington nel
suo articolo the clash of civilization,
pubblicato su Foreign Affairs
nell’estate del 1993, descrisse le relazioni internazionali, come un sistema
caratterizzato da “linee faglia”, che vengono determinate, prevalentemente, da
differenze culturali e religiose, piuttosto che da divisioni politico
ideologiche. Sebbene Huntington parlasse di un fronte est-ovest (Occidente
contro Cina e Islam), oggi sembrerebbe configurarsi una possibile faglia
intraeuropea nord-sud.
La “crisi dei debiti
sovrani”, da un lato, ha messo a nudo i difetti di costruzione della unità
monetaria, dall’altro ha riacceso antiche rivalità, differenze culturali e
alimentato stereotipi che vengono utilizzati, sempre più spesso, come strumenti
“unici ed esaustivi” per spiegare le ragioni della crisi.
Così la moneta che era
nata per unire l’Europa rischia di spaccarla, anche perché se crolla l’euro,
crolla l’Europa.
Questa crisi è
sistemica e complessa; tutto è collegato! Il tramonto degli USA, l’indecifrata
ascesa di nuove potenze (Cina, India) e la ripresa russa, ridefiniscono uno
scenario in continua decomposizione di cui anche noi, europei, siamo alternativamente
osservatori o attori protagonisti.
Guardando al nostro
continente, secondo una prospettiva temporale di lungo periodo, si possono
intravedere due processi interconnessi che, potenzialmente, potrebbero
riscrivere gli equilibri geopolitici (interni ed esterni).
Il primo, sul piano
dell’equilibrio esterno, realizza, per certi versi, la previsione di
Hunnington, attraverso una scomposizione regionale ed una conseguente
redistribuzione del potere e delle alleanze. L’Europa da una parte coltiva
l’asse atlantico ambendo ad una completa emancipazione in un rapporto tra pari,
ma contemporaneamente, dall’altra, guarda con sempre maggior interesse ad est; oltre
l’allargamento. Verso la Russia, il Caucaso e l’Asia.
Il secondo processo,
quello sul piano degli equilibri interni, è il meno definito con una Europa
sospesa tra due possibili percorsi evolutivi. Il primo rappresentato da una lenta,
ma progressiva trasformazione in una regione federata, ma solo per necessità, in
cui i rapporti saranno sempre meno tra pari. Il secondo la deriva verso una
incontrollata decomposizione geopolitica, di stampo neo-nazionalista, non
necessariamente pacifica.
“Chiunque creda che le
questioni della pace e della guerra siano eternamente risolte in Europa
potrebbe commettere un errore monumentale. I demoni non sono ancora stati
cacciati; essi stanno semplicemente dormendo, come le guerre in Bosnia e Kosovo
ci hanno mostrato. Sono sorpreso nel constatare di come le circostanze
dell’Europa del 2013 somiglino a quelle di cent’anni fa” (JC Juncker, Der Spiegel, 11 marzo 2013).
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